Senato, la Commissione sul gioco finisce il lavoro a metà

Senato, la Commissione sul gioco finisce il lavoro a metà

Legislazione
  • Dopo la caduta del Governo Draghi, la Commissione di inchiesta sul gioco pubblica in tutta fretta la relazione finale
  • L’organo ha effettuato un lungo giro di audizioni, ma non ha potuto interpellare gli operatori del gioco
  • A volte la relazione sembra scollarsi dalla realtà
  • Sul distanziometro suggerisce una soluzione di compromesso, sull’online chiede di aumentare la tassazione, il divieto di pubblicità non crea problemi

 

La caduta del Governo Draghi e la fine della legislatura costringe la Commissione di Inchiesta sul gioco del Senato a concludere la propria indagine prima del previsto. L’organo stila comunque una corposa relazione e avanza una serie di proposte per combattere il gioco illegale o quello patologico. Ma su alcuni aspetti sembra avere una visione solo parziale.

 

Il ciclo di audizioni

Il problema è che – sempre a causa dei tempi stretti – la Commissione non si è potuta confrontare con nessuna delle associazioni di settore, nonostante avesse in programma di farlo. Per circa un anno, ha portato avanti un ciclo di audizioni serrate.

A iniziare dal sottosegretario all’Economia Federico Freni, il viceministro allo Sviluppo Economico Gilberto Pichetto Fratin, il direttore generale dell’ADM Marcello Minenna. E poi ancora, il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho; Roberta Pacifici, dell’Istituto Superiore di Sanità, che nel 2018 ha curato l’indagine sul gioco patologico; Simona Neri, membro, per l’ANCI, dell’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo. E docenti universitari, analisti, esponenti delle associazioni di contrasto alle ludopatie.

Bisogna riconoscere che alcuni degli esperti interpellati hanno frequentato gli operatori del gioco per motivi professionali; altri hanno una visione laica sul settore. Ma comunque resta il fatto che si è arrivati alla relazione finale – quindi a un documento ufficiale del Senato – senza sentire gli operatori del settore. E anche Freni o Minenna, che hanno una conoscenza enciclopedica del mondo dei giochi, hanno rispettato i limiti che le loro posizioni imponevano.

Insomma, il punto di vista degli operatori non sempre è stato rappresentato pienamente. Non perché sia la verità assoluta, ma perché è un elemento da considerare per decidere quale sia la soluzione migliore. La Relazione insomma a volte non sembra mettere a fuoco i problemi nella loro interezza, lo scollamento più evidente – facendo un confronto con quello che dicono gli operatori – si avverte nel caso del divieto di pubblicità.

 

Un sostanziale via libera al distanziometro

La Commissione sembra prospettare una soluzione di compromesso sulle restrizioni che Regioni e Comuni hanno varato da un decennio a questa parte. Ricorda che queste norme hanno dato vita a situazioni molto differenti. Alcune aree sono sostanzialmente prive di sale, altre in vece si sono trasformate in “città del gioco”. Oltretutto da anni non si riesce a indire le gare per rinnovare le concessioni delle sale da gioco e delle agenzie di scommesse.

I Commissari però richiamano più volte al Titolo V della Costituzione, e ai fatti riconoscono che gli enti locali hanno il potere di intervenire. E del resto, il Ministero degli Interni con una circolare del 2018 invitò le Questure a verificare anche il rispetto delle distanze, al momento di rilasciare una licenza. Invitano però il Governo centrale a assumere un ruolo da regista. Il Legislatore nazionale infatti deve adottare “norme omogenee e razionali”, che “tendano ad uniformare la casistica e ad allineare le procedure ad evidenza pubblica, dal punto di vista dei bandi, delle convezioni e delle scadenze dei contratti”. In sostanza quindi dovrebbe dettare delle linee guida per il distanziometro che valgano in tutto il Paese, e poi scrivere i bandi sulla base di quegli indirizzi.

 

Lo Stato deve perseguire obiettivi ambiziosi e garantire maggiori risorse

La Commissione chiede poi al Governo di perseguire un obiettivo “ancor più ambizioso”: quello di fornire agli enti locali “una guida sulle azioni da intraprendere in modo da allinearsi sugli obiettivi di legalità e di tutela della salute”. In questo caso bisogna rispettare non solo il Titolo V della Costituzione, ma anche l’Accordo che Stato e Regioni avevano firmato nel 2017 in Conferenza unificata. Quell’accordo però finora è rimasto lettera morta. Forse proprio perché cercava di limitare il potere di intervento di Comuni e Regioni, e quindi non andava esattamente nella direzione del Titolo V.

Nella Relazione poi si sottolinea anche che – quando si tratta di curare le dipendenze – gli enti territoriali sono stati lasciati soli, e non hanno ricevuto neppure fondi adeguati. Occorre quindi prevedere delle risorse: “c’è ancora molto da fare per far sì che le strutture di sostegno possano concretamente operare con risorse adeguate e che le iniziative di associazioni e centri si inseriscano in una cornice integrata di programmazione di percorsi di cura”.

Sul gioco online va aumentata la tassazione

Per quanto riguarda l’online, la Commissione chiede come prima cosa di aumentare il prelievo fiscale. Le attuali aliquote sono poco “premianti” per lo Stato, e troppo vantaggiose per gli operatori. Questi ultimi potrebbero obiettare che un livello così basso serve a combattere l’offerta dei siti non autorizzati. Ma in realtà la Commissione conosce benissimo questo aspetto.

Indica infatti una serie di problematiche da tenere sotto controllo: le norme interne sulle condizioni di autorizzazione e sulla tassazione vengono aggirate; il gioco online risulta eccessivamente attrattivo per le nuove generazioni; il settore è cresciuto a dismisura durante la pandemia. E, appunto, la difficoltà di controllare i siti illegali è una delle problematiche che individua nel settore. Se però ci sono degli altri modi – oltre alla tassazione – essere competitivi con il settore illegale, la Commissione non lo dice.

Chiede invece di prendere come modello il conto di gioco per monitorare le abitudini del giocatore che frequenta le sale, “e indurlo alla cessazione del gioco oltrepassato un certo limite”. Del resto, l’obbligo di usare la tessera sanitaria per giocare alle slot “non sembra aver sortito l’effetto sperato di evitare il gioco minorile, in quanto può essere aggirata”. Basta farsela prestare da un maggiorenne.

Il divieto di pubblicità

Lo scontro maggiore riguarda però il divieto di pubblicità, un divieto che gli operatori hanno sempre contestato. Secondo LOGiCO, l’associazione che riunisce gli operatori dell’online, la relazione “conferma il fallimento del divieto di pubblicità”. Se doveva servire a “rafforzare la tutela del consumatore, non si può certo parlare di successo: l’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane, infatti, ha registrato un forte incremento del gioco illegale, con una stima dai 10 ai 20 miliardi Euro, cifra che, secondo le stime dell’Osservatorio permanente Censis-Lottomatica sul Gioco Legale in Italia, potrebbe essere abbondantemente superata”.

E ancora, “non vi è alcuna ricerca che a posteriori certifichi la bontà del divieto della pubblicità per i giocatori problematici e a rischio ludopatia. Gli ultimi dati sul fenomeno risalgono all’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2018”. Nel 2021, l’ISS “si è soltanto soffermato sull’analisi delle abitudini di gioco pre/post pandemia, senza però aggiornare il dato sui giocatori problematici. In altre parole, non sappiamo se ad oggi i giocatori “a rischio” siano aumentati o diminuiti, né quale sia stato l’impatto del divieto di pubblicità sul fenomeno”.

Secondo l’associazione, “Manca, dunque, un tassello fondamentale per completare la verifica sull’efficacia del provvedimento. Tuttavia, anche in assenza di dati aggiornati, è facile prevedere che la facilità di accesso al gioco illegale abbia dato una spinta preoccupante al fenomeno della ludopatia e del gioco problematico”.

Al gioco giusto l’onore delle armi.

Il problema è che la Commissione si sofferma pochissimo sul divieto di pubblicità, lo nomina solo quando ricostruisce il quadro normativo. E – citando una serie di ricerche – sottolinea che spinge molti giocatori a giocare. Chiaramente il rischio cresce nel caso di giocatori problematici o di minorenni. Ma poi non va oltre. Quando parla dell’aumento allarmante che ha avuto il gioco illegale, lo mette in relazione con la pandemia.

Citando il sottosegretario Freni, scrive che la pandemia ha lasciato “un terreno bombardato, in quanto, secondo le statistiche, il gioco è aumentato, ma sarebbe aumentato il gioco illegale a discapito di quello legale”. Insomma, di certo non approfondisce l’allarme che lancia LOGiCO, anzi della tesi sostenuta dall’associazione non c’è alcuna traccia nel documento.

Quantomeno, però, la Commissione riconosce agli operatori l’onore delle armi. “L’impresa deve essere un’alleata, non un antagonista dello Stato, anche per quanto concerne l’efficacia della raccolta del prelievo fiscale, purché però il meccanismo che sottende il prelievo non sia ciecamente mirato a “fare cassa” ma l’offerta di gioco sia ristrutturata secondo parametri qualitativamente più elevati che incentivino anche gli operatori a non porre in essere comportamenti elusivi delle norme fiscali” si legge nelle conclusioni.

Gioel Rigido