La CGE rimanda la tassa dei 500 mln al Consiglio di Stato

La CGE rimanda la tassa dei 500 mln al Consiglio di Stato

Legislazione
  • La Corte di Giustizia emette la sentenza sulla tassa dei 500 milioni, ma non prende una posizione netta
  • Per mettere la parola fine sarà necessario attendere la pronuncia del Consiglio di Stato
  • Intanto proseguono i contenziosi tra concessionari e gestori per dividere il peso della tassa
  • La sentenza della CGE non è d’aiuto nemmeno per queste cause, e anzi c’è chi la vede come un invito a non pagare

 

Nemmeno la Corte di Giustizia fa chiarezza sulla tasse dei 500 milioni, il prelievo straordinario che il Governo aveva addossato agli operatori e alla filiera di slot e vlt nel 2015, con l’obiettivo di reperire qualche risorsa extra. I giudici comunitari hanno sostanzialmente detto che ci sono diversi aspetti da valutare, e che devono essere i tribunali italiani a sciogliere questi nodi.

 

Il dato di fatto è che la tassa dei 500 milioni rimbalza ormai da sette anni da un giudice all’altro – Tar, Corte Costituzionale, Consiglio di Stato, Corte di Giustizia, senza considerare la pioggia di contenziosi civili tra concessionari e gestori nei vari tribunali italiani – e adesso torna al Consiglio di Stato dovrebbe mettere la parola fine. Se non altri perché è il giudice di ultima istanza.

 

Una tassa nata male

La tassa viene introdotta con la Stabilità del 2015, a palazzo Chigi c’è Matteo Renzi e l’Italia sta uscendo a fatica dalla crisi dei debiti sovrani. C’è bisogno di reperire risorse e il Governo decide di pescare anche da settore dei giochi, studia un prelievo straordinario sul settore degli apparecchi, ritenendo che gli aggi riconosciuti agli operatori della filiera siano troppo elevati.

 

La tassa dei 500 milioni prevede che siano i concessionari a pagare il prelievo per intero, sulla base non delle giocate che raccolgono, ma del numero di apparecchi che controllano. Poi ciascun operatore ne dovrà dividere il peso con i gestori e gli esercenti. Questo meccanismo però in concreto non può funzionare.

 

Primo, perché si dà troppa fiducia alla contrattazione tra le parti. E gestori e esercenti si rifiutano di rinegoziare gli accordi economici, sostenendo che gli operatori vogliano far pagare interamente a loro tutto i 500 milioni. Secondo, perché sono i gestori a controllare i flussi di cassa, in pratica sono loro che scassettano le macchine e versano a concessionari e esercenti la quota che spetta a ciascuno. A quel punto i concessionari non hanno alcuno strumento per ricondurre i gestori all’ordine, se non quello di portare la questione di fronte ai giudici civili, che una volta danno ragione agli uni, una volta agli altri.

 

Partono i ricorsi e il Governo cambia la legge

Intanto tutti – concessionari, gestori e esercenti – si rivolgono al Tar Lazio cercando di far cadere la tassa. Il Tribunale amministrativo tentenna un po’, ma alla fine decide di chiedere l’intervento della Corte Costituzionale. Siamo alla fine del 2015, e peraltro gran parte del prelievo non è stato versato. In realtà ancora oggi i vari soggetti si danno battaglia per capire se e quanto debba pagare ciascuno.

 

Il Governo decide di cambiare strada con la Stabilità del 2016: abroga il prelievo per l’anno successivo e lo rimpiazza aumentando il Preu, il normale prelievo sulle giocate. Per il 2015 adotta una norma interpretativa, e stabilisce finalmente come vada divisa la tassa tra concessionari, gestori e esercenti.

 

Questa mossa consente alla Corte Costituzionale di scrollarsi la questione di dosso: la norma che ha creato tanti problemi ormai è superata, e il Tar Lazio può risolvere la controversia usando la nuova. Se anche questa crea problemi – conclude la Consulta – allora deve sollevare nuovi dubbi di legittimità costituzionale.

 

Anche il Tar a quel punto ritiene la questione risolta: respinge tutti i ricorsi, e chiede a ciascun soggetto di pagare il dovuto sulla base della norma interpretativa. Gli operatori però non si danno per vinti, intentano gli appelli e questa volta ottengono un rinvio alla Corte di Giustizia europea, che appunto ha emesso la sentenza alcuni giorni fa.

 

La tassa arriva alla CGE

I dubbi su cui i giudici comunitari vengono chiamati a fare chiarezza sono due: se la tassa rappresenti una discriminazione, e se abbia leso il legittimo affidamento degli operatori, ovvero la previsione che i ricavi non avrebbero subito brusche variazioni nel corso del tempo.

 

Per quanto riguarda la prima questione, la Corte – in base agli elementi di cui dispone – dubita che la tassa provochi delle discriminazioni. Non agevola infatti le compagnie nazionali rispetto a quelle estere; e non favorisce il gioco online, che non subisce un analogo prelievo, rispetto alle slot e alle vlt.

 

La CGE lascia però al giudice nazionale il compito di effettuare una valutazione più analitica, visto che conosce meglio la realtà italiana. Se dovesse giungere a una conclusione diversa, allora deve ricordare che la discriminazione non ha una giustificazione valida. Il Governo aveva chiarito che puntava solo a fare cassa. E invece avrebbe dovuto perseguire un “motivo imperativo di interesse generale, come la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e della dipendenza dal gioco”.

 

Un taglio troppo brusco dei compensi

Anche sulla questione del legittimo affidamento, i giudici comunitari fissano diversi se e ma. Il punto di partenza è che i concessionari dei giochi non possono credere che i ricavi resteranno sempre costanti: si possono apportare tutte quelle modifiche che “un operatore economico prudente e avveduto sia in grado di prevedere”.

 

Poi però la Corte mette in evidenza alcuni elementi che non convincono: i tempi stretti con cui è entrata in vigore la tassa, l’importo relativamente elevato, il fatto che la quota di ciascun operatore non fosse calcolata sulla base delle giocate raccolte, ma sul solo numero di apparecchi. Tutti questi fattori “paiono di natura tale da aver potuto incidere (…) in maniera notevole, sulle previsioni finanziarie” dei concessionari.

 

Anche qui però la palla torna al giudice nazionale che dovrà stabilire “se, e in quale misura, i suddetti concessionari si siano visti privati, a causa del carattere eventualmente improvviso e imprevedibile di tale prelievo, del tempo necessario per permettere loro di adeguarsi a questa nuova situazione”.

 

Le reazioni

Per mettere la parola fine occorre adesso attendere la decisione del Consiglio di Stato. Ma forse il problema principale è che la sentenza della CGE “Non aiuta a risolvere nell’immediato i tanti contenziosi ancora aperti tra concessionari e gli altri soggetti della filiera” come sottolinea Luca Giacobbe, dello studio Giacobbe, Tariciotti e Associati, che ha seguito alcuni degli soggetti coinvolti. “I concessionari hanno pagato la loro quota, i gestori ed esercenti non interamente e pendono numerosi contenziosi in ambito civile”.

 

Per quanto riguarda le cause civili, anzi, la sentenza della CGE sembra alimentare la confusione. Secondo il Presidente dell’A.G.G.E. Sardegna Francesco Pirrello, “La questione torna ai dubbi iniziali di quando fu imposta la tassa: ovvero che il prelievo, se dovuto, deve essere esclusivamente a carico dei soli concessionari”. Tanto che Pirello consiglia a gestori e esercenti “di non pagare nulla e nel caso avessero già provveduto, di chiedere formalmente ai propri concessionari la restituzione delle somme indebitamente già versate”.

Gioel Rigido