Sulle tasse vince l’Italia e si incrina l’asse Ctd-bookmaker

Sulle tasse vince l’Italia e si incrina l’asse Ctd-bookmaker

Legislazione
  • La Corte di Giustizia legittima la norma che obbliga i bookmaker senza concessione e i Ctd a pagare il prelievo sulle scommesse raccolte in Italia
  • La rete dei Ctd si è ridotta del 75% in questi anni, ma quei centri potrebbero comunque essere costretti a pagare la tassa, al posto dei bookmaker
  • Dei modi di rivalersi sul bookmaker comunque ci sono, come spiega l’avvocato Vincenzo Matera, esperto del settore
  • I bookmaker però non si arrendono, e cercheranno di tornare alla Corte di Giustizia o alla Corte Costituzionale

A guardarle da fuori sembrano delle normalissime agenzie di scommesse, con le insegne in bella mostra, i tabelloni con le quote e le statistiche e la fila di computer per piazzare le giocate. E poi sono in molte città, per tanti anni sono state molto più diffuse delle vere agenzie di scommesse, e nella maggior parte dei casi sono lì da anni. Di fronte a un negozio del genere, quasi tutti a colpo d’occhio avremmo detto che si trattava di una agenzia di scommesse legale, e non di un Ctd irregolare. Gli scommettitori più esperti invece sanno che i Ctd offrono spesso quote più alte, e questo fa la differenza.

Sono 20 anni che l’Italia prova a stroncare la rete dei Ctd – si tratta in buona sostanza di centri che inviano le scommesse a dei bookmaker esteri senza concessione italiana – e finalmente ha messo a segno un punto decisivo, anche se è presto per dire che potrebbe addirittura vincere la guerra. I bookmaker esteri infatti hanno già annunciato che non intendono arrendersi. La svolta è arrivata qualche giorno fa quando la Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto che è perfettamente legittima, e non contrasta con alcun principio comunitario, la norma che impone ai bookmaker senza concessione di versare il prelievo sulle scommesse che raccolgono. Con una maggiorazione del 300%. Ma al di là delle conseguenze giuridiche dirette, c’è il fatto che la tassa colpisce in primo luogo le agenzie, i Ctd, appunto, e rischia di mettere in crisi l’asse con le compagnie madri. “I rapporti tra le parti sono veramente tesi” ci conferma Vincenzo Matera, avvocato esperto di gaming da sempre molto vicino al settore dei Ctd e dei bookmaker esteri. Insomma, la stangata fiscale potrebbe riuscire laddove processi penali e sanzioni amministrative hanno fallito.

 

Facciamo qualche passo indietro

Riassumere interamente la vicenda richiederebbe troppo tempo, e saremo costretti a generalizzare un bel po’. Il problema comunque nasce dal fatto che l’Italia ha commesso una serie di errori nei bandi per assegnare le concessioni delle scommesse, e i bookmaker esteri – facendo leva sul diritto comunitario – hanno ottenuto delle sentenze favorevoli dalla Corte di Giustizia Europea. Vale a dire che sono riusciti a dimostrare che alcune previsioni dei bandi erano discriminatorie, e avevano impedito di partecipare alla gara. Ora, l’attività che bookmaker e Ctd svolgono sarebbe di per sé un reato, viene punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Ma l’effetto di quelle sentenze è che questa norma è stata disapplicata nella maggior parte dei casi. In buona sostanza, in base al Diritto Comunitario, se hai escluso in maniera discriminatoria una compagnia europea, non la puoi sanzionare o condannare se quella trova un altro modo per entrare. Nel corso degli anni, l’Italia ha varato una serie di altre norme per contrastare i bookmaker esteri. Per un po’ magari qualche risultato lo ha anche ottenuto, ma poi la questione tornava di fronte alla Corte di Giustizia. E queste misure diventavano quindi  un impedimento che gli esteri non avrebbero dovuto fronteggiare, se avessero potuto partecipare alle gare alle stesse condizioni degli altri.

 

Se non puoi batterli, unisciti a loro

Dopo una decina d’anni di questo scontro serrato, la guerra sembrava persa, tanto che ormai i bookmaker non venivano più definiti come illegali, per tutti erano diventati i paralleli, se non addirittura i diversamente legali.

E l’Italia ha fatto un paio di mosse che avevano il sapore della resa. Le più eclatanti sono state le due sanatorie del 2015 e del 2016, in pratica questi operatori hanno avuto la possibilità di regolarizzarsi e di acquisire una concessione – o meglio un’autorizzazione – senza partecipare a nessuna gara. Bastava pagare un gettone di ingresso di 10mila euro, e versare l’imposta arretrata. Sì, il prelievo sulle scommesse raccolte, quello che versano i normali concessionari. Perché – e questo in realtà è stato il primo segnale – lo Stato italiano chiede ai bookmaker di pagare le tasse fin dal 2011. La norma è una tagliola, farebbe tremare chiunque, ma lì per lì sembrava solo l’ennesimo escamotage destinato a fallire. E soprattutto suonava come un’ammissione: “non vi batteremo mai, almeno pagate le tasse”.

Ora la tassa – in questi dieci anni – ha lavorato lentamente, anche perché è stata rinviata prima alla Corte Costituzionale, e poi adesso anche alla Corte di Giustizia. La Corte Costituzionale ne ha bocciato un aspetto, ovvero il fatto che il prelievo dovesse essere pagato retroattivamente anche per gli anni prima del 2011, ma ha legittimato il resto. Secondo i giudici comunitari, invece, la tassa non produce una discriminazione nei confronti dei bookmaker paralleli, e quindi non contrasta i principi dell’UE. Dopo la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia non c’è nessuno e – è vero che c’è la possibilità di tornare di fronte a quei giudici – ma per il momento l’impianto è saldo.

 

Come funziona la tassa, i due perni fondamentali del meccanismo

La tassa per i bookmaker esteri è triplicata, rispetto a quella che versano i concessionari. Un piccolo inciso, i concessionari dal 2016 pagano una tassa sul margine (ovvero quello che resta della raccolta una volta pagate le vincite) che è il sistema più agile, e consente ai concessionari di battersi a armi pari, o quasi, con gli illegali. Non a caso lo si usa anche per i casinò online ADM, per i quali la concorrenza è spietata. A Ctd e bookmaker paralleli invece si continua a applicare la tassazione sulla raccolta, che sicuramente è meno vantaggiosa. Anche per questo gli esteri dicono di subire una discriminazione, ma per il momento il sistema regge. Comunque, periodicamente i Monopoli pubblicano i dati medi per provincia, e quel dato serve per stimare quante scommesse raccolgono i paralleli, quando non è possibile ricostruirlo in altro modo. Prendendo come esempio il 2019, si va dai 151mila euro annui che in media raccoglie un’agenzia del Sud Sardegna, al milione di euro e passa di Bolzano. Questo valore – stabilisce sempre la norma – si moltiplica per 3, e poi si applica l’aliquota, e “di solito viene applicata sempre quella dell’8%” ci spiega ancora l’avv. Vincenzo Matera. Quindi, tornando al nostro esempio, per un Ctd del Sud Sardegna il prelievo supera i 36mila euro, per uno di Bolzano si arriva a quasi 250mila euro.

Ma poi la norma prevede che il Ctd sia responsabile in solido, assieme alla compagnia madre. In altri termini: visto che è impossibile far pagare le tasse a una società che ha sede all’estero, intanto si persegue il centro che è in Italia, e poi se questo ne ha la possibilità regolerà i conti con il bookmaker. Solo che il Ctd è una semplice ricevitoria, e tutti quei soldi – se effettivamente li raccoglie – li vede semplicemente passare, transitare verso il bookmaker. Per l’attività che svolge percepisce un semplice aggio, una commissione che in media varia dal 6 all’8%. Sempre tornando ai nostri esempi, il centro del Sud Sardegna, prendendo per buono quel dato di raccolta, guadagna 12mila euro di aggio l’anno. Ma potrebbe essere chiamato a pagare 36mila euro di imposta unica. Il centro di Bolzano percepisce un aggio di 83mila euro, ma l’imposta unica che dovrebbe versare è di 250mila euro. Vale a dire che le tasse sarebbero circa il triplo degli introiti.

 

La tassa spetta al bookmaker, ma ci sono tanti casi in cui a pagare è il Ctd

Ora, il bookmaker di norma per contratto si fa carico di pagare queste cifre, e finché il rapporto con la compagnia madre non si interrompe, non ci sono problemi. Ma quando il contratto per un qualunque motivo finisce, o se il Ctd chiude, il titolare rischia di rimanere con il cerino in mano. Perché è l’unico che le autorità italiane possano perseguire, e non è facile a quel punto perseguire il bookmaker. I casi non sono pochi, soprattutto se si considera che il numero di Ctd si è ridotto notevolmente. Qualche anno fa si stimava ne esistessero circa 8mila, ma circa 2.600 sono stati riassorbiti con le sanatorie. Ci sono state poi anche una serie di inchieste giudiziarie che hanno smantellato dei bookmaker enormi – in tutti i casi i vertici erano vicini a clan mafiosi, e spesso le scommesse venivano utilizzate per riciclare denaro – e la rete di Ctd, sebbene fosse spesso estranea alle accuse, è stata sciolta. E poi ci sono semplicemente i punti che hanno cambiato attività. Sul mercato ovviamente è entrato qualche nuovo operatore, ma non ha riassorbito tutti i punti rimasti orfani. Insomma, “Non c’è una stima precisa di quanti centri siano ancora attivi oggigiorno” osserva Matera, “ma non credo ne siano rimasti più di 2mila, un quarto della rete di un tempo”. Anche se i centri sono stati chiusi, i titolari possono tuttora ricevere le contestazioni per il prelievo sulle scommesse. “L’Amministrazione contesta il mancato pagamento a tutti i Ctd che in passato hanno raccolto scommesse per operatori esteri. Le cartelle esattoriali ovviamente vengono inviate anche ai bookmaker esteri, ma è impossibile andare a chiedere a un soggetto estero di pagare le tasse in Italia”. Ora, se il bookmaker esiste ancora, il centro può fargli causa, ma il problema è che la deve intentare di fronte a un giudice estero. Ovviamente, questo fa lievitare i costi. “Che io sappia nessuno ci ha provato, anche perché nessuno vuole anticipare le spese e gli onorari di una causa che necessita anche un avvocato straniero” osserva ancora Matera. Ma visto che anche il prelievo sulle scommesse è ingente, e visto che magari nel contratto con il centro il bookmaker potrebbe essersi accollato la tassa, non è da escludere che qualche punto si sia mosso. E forse, per evitare clamori, la questione potrebbe essersi chiusa con un accordo. “Eventualità che non è da scartare” commenta Matera. Ma siamo nel campo delle mere ipotesi, anche perché se così fosse l’accordo sarebbe protetto da una clausola di riservatezza.

 

Alcune possibili soluzioni ci sono

Per trovare una soluzione italiana per questi centri sarà necessario tornare alla Corte di Giustizia, o alla Corte Costituzionale. “I giudici comunitari non si sono occupati del fatto che ai Ctd venga chiesto di pagare il triplo dell’imposta” osserva ad esempio Matera. “Ha detto in sostanza che non era oggetto del rinvio. E su questo si può cercare di tornare di fronte ai giudici comunitari”. Possibile anche tentare di ottenere un nuovo rinvio alla Corte Costituzionale, “già in passato abbiamo fatto leva sull’eccessiva sproporzione tra imposta e aggio, ma oggi nessuna Commissione Tributaria ha girato la questione in Corte Costituzionale”. Tutto dipende insomma dalle Commissioni Tributarie e dalla Cassazione, che adesso avranno il compito di applicare la sentenza della Corte di Giustizia ai tanti casi concreti.

Gioel Rigido