I social casino mettono nei guai anche Amazon

I social casino mettono nei guai anche Amazon

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Anche Amazon finisce nei guai per delle app dei social casino. È stata infatti citata in giudizio da un cittadino statunitense che la accusa di ricavare miliardi di dollari da queste app, nonostante siano – questa è la tesi – una vera e propria forma di gioco d’azzardo. E che in quanto tale dovrebbe essere strettamente regolamentata in alcuni Stati USA e del tutto vietata negli altri.

Non è la prima volta che un colosso dell’online subisce accuse del genere. Nel 2018 una causa simile è stata intentata contro la DoubleDown – peraltro una ex-controllata della IGT, è stata ceduta nel 2017 – e le due compagnie nel 2022 hanno raggiunto un accordo con i querelanti impegnandosi a versare un risarcimento di 415 milioni di dollari. Ma in passato era toccato anche alla Apple. E bisogna dire che di app del genere ne esistono a decine, se non a centinaia, anche Android ha le sue, e si possono scaricare senza problemi persino dall’Italia.

Come funzionano i social casino

In sostanza consentono di giocare a tutti i giochi che normalmente offre un casinò online, ma servono più che altro a divertirsi con gli amici. Di qui il nome di social casino. Rispetto al gambling vero e proprio c’è però una differenza fondamentale: le vincite che un giocatore centra alla roulette o a una slot online possono solamente essere rigiocate, ma non possono essere convertite in denaro. In sostanza non si vince nulla, se non il diritto a continuare a giocare.

Queste app però non sono gratuite. Alcune danno ai giocatori un tot di fiches e gettoni da giocare gratuitamente ogni giorno. Ma poi, persi quelli, bisogna acquistarne delle altre se si intende continuare. Altre app sono a pagamento fin da subito, e magari chiedono decine o centinaia di dollari.

“Amazon usa politiche aggressive” per spingere queste app

Il cittadino americano – all’anagrafe Steven Horn – nella causa spiega che, sebbene manchino le vincite, i social casino siano comunque in grado di creare dipendenza. E Amazon le offrirebbe “con politiche aggressive” nel proprio app store. “Grazie alla sua capacità di elaborare grandi volumi di dati, e alla sua pressione sui social media, è in grado di individuare e attrarre i giocatori a rischio” si legge nel ricorso.

Il bazar virtuale di Jeff Bezos, inoltre, avrebbe il suo bel tornaconto, visto che – sempre secondo quanto sostiene Horn – applicherebbe una commissione del 30% sulle fiches acquistate dai propri clienti. E bisogna considerare che questo business muove un giro d’affari miliardario. Nel 2020 avrebbe raggiunto i 6 miliardi di dollari, stando ai dati di Statista.

Horn insomma chiede a Amazon di interrompere immediatamente questa attività, e di restituire le commissioni incassate ai clienti che hanno scaricato le app.

Gioel Rigido