Stop pubblicità, i soldi risparmiati vanno divisi con ADM

Stop pubblicità, i soldi risparmiati vanno divisi con ADM

Notizie ITA
  • Il Consiglio di Stato ribalta la sentenza sugli investimenti pubblicitari che i concessionari di SuperEnalotto e Gratta e Vinci avrebbero dovuto sostenere in base alla convenzione
  • Con il divieto di pubblicità del gioco, gli operatori non possono più effettuare campagne. Secondo ADM i soldi risparmiati andavano restituiti allo Stato
  • Questi soldi, spiegano adesso i giudici, sono parte dei ricavi della compagnia e non vanno restituiti automaticamente allo Stato
  • Gli operatori devono però rinegoziare gli accordi con ADM, visto che alcuni dei loro impegni sono venuti meno 

 

I concessionari di Superenalotto e del Gratta e Vinci non avevano solo la possibilità di fare pubblicità ai loro giochi ma addirittura l’obbligo. Finché nel 2018 è arrivato un decreto che ha vietato tutte le pubblicità del gioco d’azzardo. Non solo un danno per chi aveva acquisito la concessione pensando di poter sostenere la raccolta grazie alla promozione. Ma anche una beffa, visto che i Monopoli hanno chiesto di restituire allo Stato quelle cifre che (com’era scritto nelle concessioni) dovevano servire a comprare spazi su tv, giornali e radio.

 

La controversia è immancabilmente finita di fronte ai giudici e il Consiglio di Stato adesso ha stabilito che la richiesta dei Monopoli è illegittima. La vicenda però non si chiude qui, gli stessi giudici hanno sottolineato che operatori e Amministrazione devono rinegoziare le convenzioni. Alla fine non si può negare che le compagnie risparmino parecchi soldi, in ballo ci sono decine di milioni di euro. C’è, insomma, la necessità di riequilibrare l’intero rapporto, e questo vale soprattutto per i Gratta e Vinci e quindi per Lotterie Nazionali che ne ha la gestione.

 

La pubblicità la prevedeva la stessa concessione

Le concessioni di SuperEnalotto e Gratta e Vinci prevedevano che l’operatore investisse una parte dei ricavi per pubblicizzare il gioco. Era la stessa compagnia a fissare l’importo: nel momento partecipava alla gara proponeva una percentuale di aggio (la quota di raccolta che avrebbe tenuto per sé) e si impegnava a destinare una fetta di questi soldi per la pubblicità.

 

Nel caso del SuperEnalotto e degli altri giochi numerici, stiamo parlando della vecchia concessione, quella che ha preso il via nel 2009 e – con qualche proroga – è arrivata fino al 2021. Sisal percepiva il 3,73% di aggio, ma poi avrebbe speso l’1,82% per le campagne promozionali. Per i Gratta e Vinci, invece, la concessione è quella del 2010 che poi è stata rinnovata per altri nove anni, e a questo punto scadrà nel 2028. In questo caso Lotterie Nazionali percepisce un aggio dell’11,9% (che comprende però anche la quota dell’8% che va alla rete di vendita) e all’epoca si era impegnata a investire lo 0,5% in pubblicità.

 

Il divieto di pubblicità

Nel 2018, il Governo tuttavia ha approvato il decreto Dignità che tra le tante norme conteneva anche il divieto totale di pubblicizzare giochi, lotterie e scommesse. Le maglie del divieto sono strettissime, come aveva sottolineato il Tar in primo grado, si salvano giusto le campagne informative e poco altro. Di certo, però, nulla che possa assorbire interamente i budget previsti dalle concessioni.

 

Tutti gli operatori del gioco hanno sempre criticato una stretta così categorica. In termini generali, è un forte limite alla concorrenza. Il che vuol dire che non sempre possono far conoscere la propria offerta, e che in alcuni casi non riescono nemmeno a distinguersi dalle compagnie senza concessione. Il divieto inoltre non penalizza solamente chi esercita nel libero mercato, ma anche chi ha una concessione esclusiva, come appunto quelle dei giochi numerici e delle lotterie istantanee. Basti pensare a quello che sta succedendo proprio in questi giorni nel caso del SuperEnalotto: il jackpot supera i 240 milioni di euro, è il più alto che il gioco abbia mai messo in palio. Eppure, Sisal non può fare nessuna campagna pubblicitaria per promuoverlo.

 

Oltre al danno, la beffa

Nel caso delle monoconcessioni, ADM ha chiesto alle due compagnie di restituire i soldi risparmiati. Nel caso di Sisal i Monopoli hanno prima fissato al budget pubblicitario un tetto massimo di 14 milioni di euro. Poi però hanno chiesto di versare all’Erario la quota che non era stata spesa, si tratta di un gruzzolo di oltre 24 milioni di euro per il biennio 2018-2020.

 

Per Lotterie Nazionali non c’è un conteggio esatto, o quantomeno non è stato pubblicato. ADM comunque ha chiesto un rendiconto delle somme investite. Bisogna considerare poi che la convenzione stabiliva che gli investimenti non potessero superare i 25 milioni di euro l’anno. E probabilmente visto il volume delle giocate, anche in questo caso le somme non spese valgono diverse decine di milioni di euro l’anno.

 

Tar e Consiglio di Stato litigano su chi debba incassare quelle somme

Secondo la tesi di ADM – e il Tar in primo grado le ha dato ragione – quelle somme non vanno considerate una fetta dei ricavi del concessionario. Sono invece una quota del gettito erariale che l’operatore aveva il compito di usare per la pubblicità. Di conseguenza, venuto meno questo obbligo, i soldi devono essere restituiti allo Stato.

 

I giudici del Consiglio di Stato, adesso, ribaltano questa pronuncia e spiegano che nessuna norma della concessione “autorizzi a giungere alla conclusione” propugnata dal Tar. E spiegano che invece la spesa per l’attività promozionale risulta, in realtà, un vero e proprio investimento del concessionario”, che rientra “nell’esercizio della sua attività imprenditoriale”.

 

Gli accordi vanno rinegoziati

Questo però non vuol dire che le due compagnie possono semplicemente incassare i soldi che non hanno speso. Alla fine delle sentenze, lo stesso Consiglio di Stato sottolinea che le parti devono risolvere il problema della spettanza degli importi risparmiati”. E in simili casi si applicano “le regole proprie della sopravvenuta impossibilità parziale delle obbligazioni e, nell’eventualità, tramite la procedura di riequilibrio economico finanziario delle concessioni di cui all’art. 165 comma 6 del d.lgs. n. 50/2016”.

 

Questa norma prevede che operatore e amministrazione debbano fissare delle nuove condizioni di equilibrio della concessione. E specifica che “La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto”.

 

Inoltre, quella norma tira in ballo anche un terzo soggetto – il NARS, Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità – che deve dare una valutazione positiva sul nuovo assetto. In alcuni casi si tratta di un passaggio obbligato (nelle “opere di interesse statale ovvero finanziate con contributo a carico dello Stato”). Negli altri casi (e i giochi rientrano in questa fattispecie) l’Amministrazione a propria discrezione può chiederne l’intervento.

 

Sisal dorme serena

Le due compagnie adesso attendono un cenno da parte dell’Amministrazione. Sisal però sembra essere più tranquilla. La concessione infatti è scaduta, e comunque il periodo da rinegoziare è relativamente breve, appena due anni. Per Lotterie Nazionali invece la situazione è meno chiara.

 

SlotJava ha interpellato direttamente la compagnia, che però ha preferito non intervenire. Il problema è che la clausola sugli investimenti pubblicitari dovrebbe essere ancora in vigore, e questo vorrebbe dire che Lotterie  Nazionali è – formalmente – tenuta a effettuare gli investimenti pubblicitari fino al 2028.

 

Bisogna considerare che i Monopoli hanno inviato a fine 2017 la proposta di rinnovo, quindi qualche mese prima che si iniziasse a discutere del divieto di pubblicità. Non avevano motivo quindi di eliminare quella clausola. In ogni caso, poi, secondo quanto SlotJava apprende da fonti del settore, ADM non aveva il potere di modificare il contenuto della concessione, visto che – appunto – ha semplicemente rinnovato la precedente. Insomma, se così fosse, si tratterebbe di rinegoziare 10 anni di mancati investimenti in pubblicità. E quindi il tesoretto vale centinaia di milioni di euro.

Gioel Rigido