Stanley lascia senza parole anche il Consiglio di Stato

Stanley lascia senza parole anche il Consiglio di Stato

Notizie ITA
  • Si aggiunge un nuovo capitolo nella lunga battaglia di Stanley per trovare uno spazio nel mercato italiano
  • Da illegale, il bookmaker anglo-maltese è stato definito prima grigio, poi parallelo, e infine diversamente legale 
  • Adesso però il Consiglio di Stato afferma che la raccolta di scommesse che effettua “non è illegale”

 

La raccolta delle scommesse effettuata dai CTD StanleyBet “illegale non era”. Non è la prima volta che leggiamo una frase del genere nella sentenza di un tribunale. Di solito però i giudici si limitano a dire che il bookmaker anglo-maltese e i suoi Ctd non possono essere multati, o sequestrati, o accusati di qualche reato, perché sono stati esclusi dalle gare. In questo caso invece, il Consiglio di Stato riconosce al bookmaker uno status, anche se sarebbe meglio dire un anti-status, e c’è da capire se quella doppia negazione valga come affermazione.

 

Stanley nasce prima del sistema concessorio

La battaglia legale per essere riconosciuta in qualche modo, Stanley la inizia addirittura nello scorso millennio. Era il 1999 quando il legislatore italiano mise a gara mille concessioni per raccogliere le scommesse ippiche. Il bando tuttavia consentiva di partecipare solo alle società di persone. La StanleyBet esisteva già, era costituita come una società di capitali con sede a Liverpool, e quindi non poté presentare offerte.

 

Da allora ha avviato una lunga querelle giudiziaria per far dichiarare illegittima l’esclusione, ma intanto ha dato vita a una vasta rete di agenzie – i CTD, centri trasmissione dati – che raccoglievano scommesse sul suolo italiano e le trasmettevano nel Regno Unito.

 

I presupposti per avere successo c’erano tutti. Siamo nei primi anni 2.000, le scommesse sportive ancora non erano legali in Italia, e chi voleva puntare sulla Serie A si doveva accontentare del Totocalcio. Il bookmaker anglo-maltese invece permetteva di scommettere su qualunque evento. E offriva delle quote particolarmente vantaggiose, visto che pagava le tasse in Gran Bretagna e a Malta, e non in Italia.

 

Le sentenze della CGE

A quei tempi le Forze dell’Ordine italiane però non si facevano problemi a sequestrare i centri e incriminare i titolari. Il bookmaker presentava ricorsi su ricorsi e alla fine riuscì a portare la questione di fronte alla Corte di Giustizia Europea. A quel punto si aprì la prima breccia nell’ordinamento italiano. La decisione di escludere le società di capitali costituiva una restrizione alla libera prestazione di servizi, e quindi una discriminazione. Era il 2003.

 

La sentenza prende il nome del titolare di uno dei centri sequestrati, Gambelli. Ma poi negli anni la Corte di Giustizia ha riesaminato diverse volte il sistema italiano. Sono arrivate le sentenze Placanica, Costa e Cifone, Laezza e così via. I giudici hanno criticato anche i bandi Bersani del 2007 e Monti del 2012, o perché contenevano nuove discriminazioni, oppure perché non avevano rimediato alle vecchie colpe.

 

Ora, tutte queste sentenze della CGE, e poi quelle dei giudici italiani che le hanno applicate, hanno un’ambiguità di fondo. Hanno solo sancito che – visto che Stanley era stato escluso illegittimamente dalle gare – non poteva essere sanzionato o incriminato. Ma non hanno imposto di ripetere le gare, o hanno permesso al bookmaker di acquisire le concessioni in qualche modo. O non hanno riconosciuto che il suo modo di operare dovesse essere equiparato a quello dei concessionari. Insomma, non hanno trovato un modo per farlo entrare a tutti gli effetti nel mercato legale, o gli hanno attribuito un qualsiasi titolo formale.

 

La rete dei CTD era più vasta di quella legale

Intanto Stanley ha fatto scuola. Diversi operatori hanno preso ispirazione dal modello di business e dalla strategia legale, e si sono inseriti anche loro nel mercato. Alcune di queste compagnie sono riuscite a dimostrare di aver subito anche loro delle discriminazioni nelle gare. Peraltro, questo modus operandi ha attirato l’attenzione di alcuni clan malavitosi, nacquero così dei “finti” bookmaker esteri con vastissime reti di CTD che oltre a raccogliere scommesse riciclavano denaro.

 

Ma il risultato è che, nel giro di una decina di anni, le reti dei CTD erano diventate così vaste da aver superato di gran lunga quella legale. E la confusione era così tanta che nessuno più definiva questi operatori come illegali. Per un po’ li si è chiamati grigi, ma anche questo aggettivo dava una connotazione troppo negativa. Alla fine, quello che suonava meglio era il termine paralleli. Ma ci fu addirittura un dirigente dei Monopoli che – forse scherzando – li definì “diversamente legali”.

 

Ora, negli ultimi anni il fenomeno si è molto sgonfiato. Alcuni di questo operatori sono entrati nel mercato a tutti gli effetti grazie a delle sanatorie. Quelli legati ai clan invece sono stati spazzati via dalle inchieste giudiziarie, anche se ciclicamente ancora si sente di qualche caso simile. Con la norma che impone anche ai CTD di versare le tasse in Italia, il Legislatore è riuscito a minare la redditività di questo business.

 

Manca la parola per definire Stanley

Anche Stanley alla fine ha dovuto piegarsi al fisco italiano, ma comunque ha resistito fino a oggi e continua a difendere le sue posizioni. La sentenza emessa qualche giorno fa dal Consiglio di Stato è l’ennesima dimostrazione. Al centro della vicenda c’è una tabaccheria di Casandrino, in provincia di Napoli, che – un tempo si diceva “sottobanco” – raccoglieva anche scommesse per conto del bookmaker anglo-maltese.

 

Si trattava appunto di una tabaccheria, quindi di una rivendita con concessione rilasciata dall’ADM. Nel 2015 l’esercizio ha subito un controllo della Guardia di Finanza che ha scoperto l’attività parallela. I Monopoli a quel punto hanno revocato la concessione dei tabacchi, applicando una norma che impedisce a questi esercizi di vendere giochi illegali.

 

I giudici hanno tuttavia annullato la sanzione, proprio perché l’attività del bookmaker “illegale non era”. Il risultato pratico è quell’esercizio potrà vendere tabacchi per i Monopoli e raccogliere scommesse per Stanley. Per Daniela Agnello – che nell’arco di tutti questi anni ha difeso Stanley nei tribunali penali, civili e amministrativi – i giudici hanno finalmente riconosciuto che il bookmaker opera legittimamente e lo hanno equiparato a tutti gli effetti ai concessionari.

 

Resta però sempre il dubbio che dire “non è illegale” suona un po’ diverso dal dire “è legale”. E che il Consiglio di Stato volesse solo ribadire che il bookmaker si trova in una sorta di limbo. In ogni caso, alla lunga scia di definizioni che sono state usate in questi anni – grigio, parallelo, diversamente legale – adesso bisognerà aggiungere anche quella di non illegale. Che poi forse, volendo ricamarci sopra, è anche il modo più corretto, perché non è facile trovare la parola giusta per definire Stanley, si può solo dire cosa non è.

Gioel Rigido