Il gioco protesta a Torino, ma cambiare la legge non basta

Il gioco protesta a Torino, ma cambiare la legge non basta

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  • Il settore del gioco torna a manifestare, ma per protestare contro la legge regionale del Piemonte
  • Le distanze hanno già colpito fortemente il comparto delle slot
  • Il 20 maggio anche le ultime sale rimaste saranno costrette a chiudere i battenti o a trasferirsi altrove
  • La legge comunque ha già fatto chiudere la maggior parte delle sale e ha favorito il mercato illegale. Tornare indietro non sarà facile

 

Il modo del gioco torna in piazza, ma questa volta per risolvere i vecchi problemi che si trascinano da anni. E che hanno già prodotto una serie di conseguenze alle quali orami sarà difficile rimediare. Negli ultimi mesi l’attenzione si è concentrata sulla battaglia per le riaperture, ma il settore già molto prima che la pandemia esplodesse era impegnato a risolvere una serie di questioni – leggi regionali in primis – che hanno continuato a lavorare nell’ombra. Così, nel caso del Piemonte, è ormai alle porte il termine del 20 maggio, il giorno in cui anche le ultime sale rimaste dovranno rispettare il distanziometro. Gli operatori del settore si sono dati appuntamento giovedì 18 marzo a Piazza Castello a Torino, e anche questa volta hanno ottenuto il sostegno, come sempre più spesso accade nell’ultimo periodo, anche della CGIL, della CISL e della UIL. Inoltre, alla manifestazione hanno partecipato non solo i lavoratori e gli imprenditori piemontesi, ma anche delle delegazioni provenienti da tutta Italia. Perché come ha sottolineato ad esempio Angelo Basta di Agire – anche lui in piazza a dare il proprio sostegno – “Questo problema riguarda anche altre Regioni” e “serve una soluzione a livello nazionale, altrimenti non se ne viene fuori”.

 

Il Piemonte ha varato la legge sul gioco nel maggio del 2016, ha fin da subito vietato di istallare nuove slot e vlt nelle sale e nelle ricevitorie che non rispettavano le distanze minime, i distanziometri sono due: 300 metri per i Comuni fino a 5mila abitanti e 500 metri per quelli più grandi. Le sale e gli esercizi già attivi invece hanno avuto un po’ di tempo in più per adeguarsi alle restrizioni, e la Regione ha previsto termini differenti a seconda del tipo di attività e della data di apertura. Le tabaccherie, i bar e gli altri esercizi generalisti sono stati i primi a dover cedere: hanno dovuti eliminare le slot entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge, ovvero il 20 novembre del 2017. Una fetta di sale da gioco poi è stata costretta a trasferirsi – se possibile – o a chiudere i battenti entro il 20 maggio del 2019. Adesso – salvo una revisione della norma – è arrivato il turno dell’ultimo gruppo di sale, quelle che hanno ottenuto l’autorizzazione dopo il 1° gennaio 2014: entro il 20 maggio prossimo dovranno anche loro uniformarsi alla legge. Ovviamente questi step riguardano le sale che non rispettano le distanze, quelle in regola invece possono continuare a operare, ma le restrizioni – in tutta Italia – si sono dimostrate finora molto stringenti.

 

La legge del Piemonte però ha già falcidiato tantissime sale, a calare drasticamente è stato soprattutto il numero delle attività che istallavano le slot. A fine 2017 il Piemonte – che nei dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, è accorpato alla Valle d’Aosta, visto che c’è un’unica direzione territoriale – contava 4.866 esercizi che ospitavano slot e 25.703 macchine. A fine 2019 si passa invece a 1.431 sale (meno di un terzo), e 12.274 slot (circa la metà). È vero che più o meno nello stesso periodo – tra il 2017 e il 2018 – il Governo centrale ha attuato anche il taglio della rete delle AWP, e questo processo in tutto il Paese ha riguardato il 35% delle macchine circa. Ma in ogni caso, i numeri del Piemonte sono di gran lunga superiori. Le sale vlt della Regione invece sono aumentate, forse anche perché queste attività si trovano essenzialmente nelle periferie: erano 394, nel 2017, e ora in base all’ultimo aggiornamento se ne contano 412, mentre le macchine sono passate da 4.186 a 4.680.

 

Anche le ripercussioni sull’occupazione sono state pesanti. Secondo la CGIA di Mestre rispetto al 2016 sono già andati persi 1.700 posti di lavoro, e si tratta di di una stima prudente. Quando scatterà l’ultima tagliola a maggio, si arriverà a una cifra tra i 2.870 e i 3.800 posti di lavoro in meno. Il rovescio della medaglia è che se il settore legale si riduce, quello illegale si espande. Sempre la CGIA sottolinea come le irregolarità riscontrate dalla Guardia di Finanza siano aumentate fortemente, e stima che le imposte evase dal comparto siano cresciute in maniera esponenziale, da 477mila euro del 2016 hanno raggiunto i 4,5 milioni nel 2018. “Lo avevamo già denunciato in Consiglio Regionale nei mesi scorsi e alla fine i fatti ci hanno dato ragione: i lavoratori del comparto non sarebbero spariti, il settore però sta passando nelle mani della criminalità organizzata” ha sentenziato Domenico Distante, presidente di Sapar, anche lui a Piazza Castello.

 

Negli ultimi anni già diverse Regioni – come la Puglia, la Calabria e la Liguria – hanno allentato il freno, e c’è anche da dire che la Giunta guidata da Alberto Cirio si è sempre dimostrata vicina al settore. Da quando si è insediata nel 2019 – in Consiglio sono stati presentati diversi disegni di legge per modificare la normativa. Il sostegno non è mancato nemmeno alla manifestazione, alcuni politici sono scesi in piazza, mentre una delegazione dei manifestanti è entrata nel palazzo della Regione e ha incontrato gli assessori al Bilancio e al Commercio, Andrea Tronzano e Vittoria Poggia, il presidente della Commissione Commercio Claudio Leone, i capigruppo della Lega e di Fratelli d’Italia Alberto Preioni e Paolo Bongioanni.

 

Le premesse sono buone, ma non bisogna dimenticare che anche se la legge verrà finalmente modificata, “Sarà molto difficile recuperare il mercato legale che è stato bruciato in questi anni” osserva Giorgio Pastorino, presidente di STS, in un’intervista. “La legge ha già determinato la chiusura della maggior parte delle sale, chi ha potuto si è trasferito, in alcuni casi anche al di fuori della Regione. “Molti imprenditori probabilmente hanno investito in altri settori, e adesso non torneranno indietro” spiega infatti. Anche perché si è creato “un clima di sfiducia. Gli imprenditori sono stati costretti a chiudere sulla base di una legge sbagliata e difficilmente si fideranno, se non c’è un quadro normativo certo”. E purtroppo non basterà modificare la legge per far riaprire le sale: “Gran parte del mercato in Piemonte è passato nelle mani dell’illegalità. Lo riconoscono tutti: politici, giudici, analisti… E lo testimoniano le tantissime inchieste giudiziarie condotte negli ultimi anni. Questo è un aspetto che devono tenere in considerazione anche le altre Regioni: se si chiude il mercato legale del gioco, il settore passa nelle mani dell’illegale e poi sono necessari anni e anni prima di recuperarlo”. Pastorino ricorda quello che è successo quando è stato creato il mercato legale del gioco, nei primi anni 2000: “il settore è stato strappato all’illegalità e questa battaglia è durata una decina d’anni. Adesso sarà necessario rifare la stessa cosa. Ma ancora una volta bisogna fare i conti con il clima di sfiducia che si è creato: quale imprenditore affronterebbe un percorso, uno sforzo, del genere se poi potrebbe essere costretto a chiudere nel giro di qualche anno?”

Gioel Rigido