I bar odiano il green pass, per le sale slot è una salvezza

I bar odiano il green pass, per le sale slot è una salvezza

Notizie ITA
  •  Il Governo ridisegna il pass vaccinale che adesso servirà anche per entrare nei locali
  • La misura per gli esercenti comporta però un netto aggravio dei compiti, tanto che la FIPE chiede di adottare un’autocertificazione
  • Il settore del gioco però tira un sospiro di sollievo, meglio questi controlli che un nuovo lockdown
  • Ma c’è anche il problema dei dipendenti, non è chiaro al momento se anche loro debbano avere il pass per svolgere la propria attività 

 

Scatta dal 6 agosto l’obbligo di avere il green pass per entrare nei bar o nei ristoranti – al chiuso – e in diverse altre tipologie di locali pubblici, tra cui anche le sale da gioco, le agenzie di scommesse e i bingo. La misura si applicherà nelle zone bianche e in quelle gialle. Per le zone arancioni e rosse – se purtroppo capiterà – il rischio invece è di subire dei nuovi lockdown. La restrizione però sta creando una serie di problemi, non ci sono solo le solite recriminazioni dei No Vax, ma anche i dubbi degli esercenti che temono di dover effettuare una mole immane di controlli. E poi non è chiaro se il datore possa chiedere ai dipendenti di farsi vaccinare.

 

Il Governo ha radicalmente ridisegnato il passaporto, quando l’aveva introdotto in primavera, ne aveva previsto l’utilizzo solo in casi specifici, ovvero per viaggiare al di fuori della propria regione, per accedere alle RSA, e per partecipare alle cerimonie religiose come i matrimoni. Il Garante della Privacy all’epoca aveva espresso una serie di perplessità e aveva posto delle condizioni, adesso non è chiaro se interverrà nuovamente per assicurare che il pass non metta a rischio i dati sensibili. Molto dipenderà da come questi dati dovranno essere conservati e trattati.

 

Bisogna sottolineare che il Governo era alle strette e in questo modo ha cercato di accelerare sulla campagna vaccinale. Gli attuali livelli infatti non sono entusiasmanti: secondo gli ultimi dati il 52% della popolazione è completamente immunizzata, mentre il 63% ha ricevuto almeno la prima dose. Il nuovo decreto contiene anche delle aperture, a iniziare dal fatto che adesso il pass viene rilasciato già dopo la prima dose. Il certificato comunque – come avveniva già prima – lo ottiene anche chi si è sottoposto al semplice tampone o chi ha contratto il Covid in precedenza e quindi è al momento immune. Ma in questi casi ha una durata più contenuta, appena due giorni nel primo, sei mesi nel secondo.

 

Se il barista diventa uno sceriffo

Per gli esercizi non è un impegno da poco, si tratta di appurare che ogni singolo avventore sia in possesso di un pass valido. Basti pensare ai bar che dovranno controllare anche la persona che entra pochi minuti a consumare un caffè e va via. Senza contare che gli esercenti dovranno verificare che il cliente sia effettivamente il titolare del passaporto. E dovranno inevitabilmente dotarsi di un lettore apposito o dell’app già disponibile, anche perché purtroppo si è già creato un mercato parallelo di certificazioni fasulle o in prestito. Le sanzioni poi non sono affatto leggere, dai 400 a 1.000 euro per la singola violazione, e verrà multato sia il locale, sia il cliente. Per l’esercizio che accumula tre infrazioni in giorni differenti poi è prevista anche la chiusura fino a 10 giorni.

 

Per gli esercizi è un aggravio dei controlli – e di responsabilità – non indifferente. La FIPE Confcommercio ha già protestato duramente: “I gestori dei bar e dei ristoranti non sono pubblici ufficiali e come tali non possono assumersi responsabilità che spettano ad altri. È impensabile che, con l’attività frenetica che caratterizza questi locali, titolari e dipendenti possano mettersi a chiedere alle persone di esibire il loro green pass e ancor meno a fare i controlli incrociati con i rispettivi documenti di identità. Così facendo c’è il rischio di rendere inefficace la norma”. La FIPE spinge quindi per adottare delle semplici autocertificazioni che sicuramente semplificherebbero la vita agli esercenti: “Chi dichiarerà il falso lo farà a suo rischio e pericolo. I controlli devono rimanere in capo alle forze dell’ordine e noi ci batteremo in fase di conversione in legge del decreto affinché questo avvenga”.

 

Per le sale da gioco il passaporto è meglio del lockdown

Le sale da gioco in particolare hanno reagito invece abbastanza bene alle nuove restrizioni. Ma bisogna sempre ricordarsi che il settore del gaming viene da un periodo lunghissimo di chiusura, e queste misure vengono viste come una sorta di garanzia del fatto che non ci saranno altri lockdown. Per Massimiliano Pucci, presidente di As.Tro, si tratta di “Una misura di civiltà” che rappresenta “un riconoscimento del senso civico dimostrato da chi si è sottoposto al vaccino”.  Per  Domenico Distante, Presidente di Sapar “è un’ottima iniziativa che tutela la salute dei cittadini”. Distante sottolinea che per gli esercizi si tratta di un sacrificio: “lo accettiamo, con la speranza che in futuro le sale non siano più costretta a chiudere”. E anche per Maurizio Ughi, il pass deve anche “garantire che le sale possano restare aperte, perché controllano che tutti i clienti che entrano non sono contagiosi. Sotto questo profilo rappresenta una tutela sia per i clienti, sia per i lavoratori”.

 

La questione dei lavoratori

In realtà, quello dei lavoratori è uno degli aspetti che causa maggiore incertezza al momento, non è chiaro infatti se anche i dipendenti dei bar e dei ristoranti – o quelli delle sale da gioco – debbano essere vaccinati, o quantomeno effettuare un tampone ogni due giorni. La FIPE su questo è categorica: le attuali disposizioni “non impongono al datore di lavoro l’obbligo di vaccinazione e/o l’obbligo di tampone dei dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa”. In altre parole, secondo la Federazione il datore di lavoro non può impedire al dipendente senza vaccino di svolgere la propria attività. Anzi, il datore ha poteri ancora più limitati, visto che non deve nemmeno sapere quale dipendente si sia vaccinato e quale no: “non può acquisire, neppure con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali”.

 

La questione è molto dibattuta in questi giorni, tanto che ha preso posizione anche Maurizio Landini, segretario generale della CGIL: “Non abbiamo contrarietà di principio. Noi abbiamo scioperato per avere i protocolli di sicurezza in azienda. Siamo a favore del fatto che le persone si vaccinino e come sindacato stiamo raccomandando ai lavoratori di farlo”. Il problema però resta però cosa può fare un datore di lavoro per spingere il dipendente a vaccinarsi, perché per Landini la sospensione dello stipendio auspicata da Confindustria è “Inaccettabile. Non se ne parla neanche. Né di questo, né di demansionamenti”. E Landini chiede di fare ricorso massicciamente allo smart working – evidentemente si riferisce a realtà diverse da bar, ristoranti e sale da gioco – o di fare “un uso molto diffuso dei tamponi”.

 

Ma così il pass perde efficacia

La questione investe chiaramente anche il settore del gioco e “Il dubbio oltretutto non riguarda i soli dipendenti: se una sala ha bisogno di fare della manutenzione alle slot, o deve semplicemente scassettare le macchine, il titolare deve chiedere il certificato all’addetto?” osserva Luca Giacobbe, legale esperto di gaming, che in questi giorni è alle prese con i dubbi degli operatori. “Il Ministero della Salute e il Governo sembra che abbiano allo studio una normativa proprio per risolvere questi dubbi. A mio avviso, ci sono degli elementi che inducono a ritenere che anche i dipendenti debbano essere in possesso del pass, ma” puntualizza a SlotJava, “in questo momento occorre essere prudenti. Perché capisco anche che per le sale, e per qualunque attività in generale, un simile controllo implica uno sforzo organizzativo non da poco”.

 

Giacobbe sottolinea quindi che la norma originaria sul pass – quando la carta serviva solo per le cerimonie religiose, per visitare i pazienti nelle RSA, e potersi spostare con maggiore facilità da una Regione a un’altra – aveva una formulazione molto diversa dalla nuova. “Quella norma parlava di partecipanti e accompagnatori, quindi a categorie di persone individuate in maniera esplicita. Il decreto del 22 luglio invece prevede che ‘è consentito l’accesso nelle attività e nei servizi a chi è munito’ del certificato. In questo caso il Legislatore non individua nessuna categoria, non parla di clienti, dice solo che chiunque voglia entrare deve essere dotato della certificazione verde”. E quindi includere per forza di cose anche i dipendenti.

 

Insomma, “il dubbio è legittimo e non si può essere così categorici”. Anche perché, chiede Giacobbe, “che senso avrebbe chiedere il passaporto a un cliente che entra in un bar per pochi minuti, il tempo necessario a bere un caffè, se poi il barista che sta dietro il bancone – magari per otto ore ogni giorno – non ha alcun certificato”.

Gioel Rigido