Bingo, il Tar congela l’aumento della proroga
Il Tar Lazio riporta i canoni di proroga del bingo a 2.800 euro al mese, e congela quindi l’ultimo aumento che il governo aveva imposto con la legge di Bilancio del 2023: I giudici romani hanno adottato un provvedimento cautelare: resterà in piedi fino al 22 novembre prossimo. Quel giorno infatti si terrà l’udienza di merito, e a quel punto la questione verrà affrontata in maniera approfondita e decisa con una sentenza.
Le proroghe sono l’unico modo per mantenere le sale aperte
Nel caso del bingo, la questione della proroga delle concessioni è iniziata addirittura dieci anni fa. I primi titoli sono infatti scaduti nel 2013, non è mai stato possibile indire una nuova gara. Una in realtà venne bandita, ma conteneva delle irregolarità, e lo stesso Tar Lazio – era il 2014 – la annullò. A quel punto però diverse Regioni avevano adottato delle leggi per limitare la diffusione delle sale da gioco. In particolare il distanziometro avrebbe impedito o quasi l’apertura delle nuove sale.
L’unica soluzione era prorogare le concessioni esistenti, fino a quando non si fosse trovato un accordo con le Regioni. A oggi i vari governi che si sono succeduti nel tempo ancora non ci sono riusciti. L’esecutivo Meloni adesso sta lavorando alla delega fiscale che dovrebbe portare al riordino del settore. E quindi anche a una soluzione per sbloccare l’impasse.
Il canone di proroga cresce in continuazione
Intanto però, ogni uno o due anni, tutti i governi passati sono stati costretti a rinnovare le proroghe. Nei primi tempi le sale dovevano versare un canone mensile di 2.800 euro, ma ben presto l’importo è passato a 5mila euro, e poi a 7.500. Con l’ultima legge di Bilancio è arrivato l’ennesimo inasprimento: l’importo di 7.500 ha subito una maggiorazione del 15%. E la nuova proroga durerà fino alla fine del 2024.
Piovono i ricorsi giudiziari
Le sale bingo non hanno mai accettato quello che ritenevano un vero e proprio salasso. Ma non c’è solo la questione economica: le proroghe hanno una durata tutto sommato contenuta – uno o due anni appunto – e non consentono di pianificare alcun investimento. Ne è scaturito quindi contenzioso piuttosto serrato. E le sale sono riuscite a portare la questione anche di fronte alla Corte Costituzionale, che tuttavia ha difeso le ragioni dello Stato.
Gli operatori comunque non si sono dati per vinti e hanno convinto i giudici del Consiglio di Stato a chiedere l’intervento della Corte di Giustizia. Questa pronuncia è di novembre scorso, quindi di qualche settimana prima che venisse approvata la legge di Bilancio. In sostanza, tutti i dubbi che i giudici hanno sollevato non hanno dissuaso il governo dall’imporre un nuovo aumento.
I giudici fanno i conti
I provvedimenti emessi in questi giorni riguardano dei nuovi ricorsi. E appunto paralizzano gli ultimi aumenti. Le ordinanze non fanno riferimento al rinvio alla Corte di Giustizia, ma a marzo lo stesso Tar aveva sospeso il ricorso di un vecchio operatore. E in quel caso sottolineava proprio la necessità di attendere la decisione dei giudici comunitari.
Adesso, invece, i giudici calcano la mano sugli aspetti economici della proroga. Per 21 mesi di attività – a conti fatti quella è la durata della proroga – gli operatori sono tenuti a versare oltre 181mila euro. Vale a dire 157mila di importo base, e quasi 24mila di maggiorazione.
Quello che fa più effetto però è che l’importo mensile del canone ha raggiunto infatti la cifra record di 8.625 euro. Basta un semplice conto per vedere che in dieci anni il costo della proroga è triplicato. I giudici comunque non commentano, dicono solo che la richiesta delle sale è pienamente fondata. Chiedono però agli operatori si assicurarsi che la fideiussione che hanno prestato sia sufficiente a coprire la quota non versata.